Un bambino destinato alla luce

Ottocento anni fa, in una città del nord-est del Regno di Persia, nacque un bambino molto speciale, destinato a diventare uno dei più grandi mistici e poeti della storia: Jalâluddin Mohammad Rumi, nato il 30 settembre 1207 a Balkh, oggi in Afghanistan ma all’epoca parte della Persia.

Suo padre, Bahâ Valad, era un rinomato studioso e mistico sufi, così rispettato che si dice che persino il re di Persia assistesse ai suoi sermoni.

Quando Rumi era ancora molto giovane, la famiglia si mise in viaggio verso occidente. Dopo anni di spostamenti da una città all’altra, si stabilirono a Konya, nell’attuale Turchia, dove Bahâ Valad fu accolto con tale riguardo che gli venne addirittura costruita una scuola. Alla sua morte, nel 1231, Rumi — allora ventiquattrenne — decise di portarne avanti l’opera e approfondì filosofia, letteratura, storia, legge islamica e altre discipline, diventando un insegnante rispettato.


Il vulcano che attendeva di eruttare

Alla fine di novembre del 1244, Rumi incontrò un derviscio errante:
Shams Tabrizi, “il Sole di Tabriz”, maestro sufi sessantenne che aveva dedicato tutta la vita alla ricerca spirituale.

L’incontro tra Rumi e Shams fu una deflagrazione interiore: una trasformazione radicale che lo portò a diventare un mistico dell’amore e un poeta ispirato.
Da quel momento Rumi si dedicò sempre più alla poesia e alla pratica del samâ, dove meditazione, musica, canto e danza si fondono in un’unica esperienza di estasi e presenza.

Rumi era un vulcano addormentato.
Shams rimosse il tappo di roccia, liberando un flusso di visione spirituale e amore per il mondo che per anni era rimasto sopito.

Rumi non fu mai un poeta “professionista” — viveva grazie alla scuola — e tuttavia divenne uno dei più prolifici poeti persiani, autore di due capolavori:

  • Diwân Shams Tabrizi: 44.000 versi di poesia lirica dedicati al suo maestro.

  • Masnawi Ma’nawi: circa 26.000 versi di insegnamenti spirituali in forma poetica.


Il Poeta dell’Amore

Il filo che attraversa tutta la sua opera è l’amoreishq, in arabo, persiano, turco e hindi.

Ma non l’amore romantico.
Come ricorda Coleman Barks, il grande traduttore contemporaneo, l’amore di Rumi non è il “mi ha lasciato / è tornata…”.
È amore come forza cosmica, come scintilla divina, come origine e destinazione del mondo.

Per Rumi esistono due forme di amore:

  1. Amore supremo: Dio, la Verità, il nostro amore per il Divino.

  2. Amore derivato: il riflesso dell’amore divino nella creazione — l’amore per le persone, per gli animali, per la natura, per il cosmo.

Rumi non separa mai nettamente queste due dimensioni, perché per lui:

Ogni gesto autentico d’amore è un riflesso dell’Amore divino.

I sufi spiegano questa visione con una parabola:

L’amore e la presenza di Dio sono come il sole:
troppo potente per essere guardato direttamente,
ma possiamo vederne il riflesso nelle acque di un lago.


Il profumo dell’Invisibile

Rumi scrive:

Nel regno del Non-visibile esiste un legno di sandalo che brucia.
Questo amore è il fumo di quell’incenso.

Questa immagine poetica risponde a una domanda comune:
“Come posso credere in Dio se non l’ho mai visto?”

Rumi rovescia la questione:
non si vede Dio, così come un pesce non vede l’acqua.
Ma lo si può sentire, come si sente la presenza dell’incenso.

Per lui l’amore non è sentimento umano, ma principio cosmico: la matrice stessa dell’universo.


Il cosmo innamorato

Rumi scrive:

Se il Cielo non fosse innamorato
il suo seno non sarebbe dolce.
Se il Sole non fosse innamorato
il suo volto non brillerebbe…

E continua:

Se la Terra e le montagne non fossero innamorate,
nessuna pianta germoglierebbe dal loro cuore.
Se il Mare non conoscesse l’amore,
resterebbe immobile da qualche parte.

L’amore è ciò che genera:

  • bellezza

  • luce

  • movimento

  • vita

Il cielo dà la pioggia, la terra la riceve, le piante crescono: tutto in armonia, tutto in relazione.

Rumi conclude che il luogo naturale dell’uomo è il cuore.
I desideri egoistici sono un’illusione che spreca la vita;
l’amore è la via che porta a Dio.

I maestri sufi chiamano i due stati dell’amore:

  • fanâ – estinzione dell’ego, ebbrezza divina.

  • bagâ – presenza, dimorare nell’Amato.


Un ponte tra Oriente e Occidente

Rumi morì al tramonto del 17 dicembre 1273, a 66 anni.
Al funerale parteciparono musulmani, cristiani, ebrei, ricchi e poveri: tutti volevano rendere omaggio al maestro dell’amore.

La sua tomba a Konya è ancora oggi luogo di pace e venerazione.

La sua poesia è un ponte vivente tra Oriente e Occidente:
parla il linguaggio universale dell’amore che unisce ciò che l’odio divide.

Il biografo Aflaki riporta le parole di un prete greco ortodosso:

«Il maestro Rumi è come il pane: piace a tutti.»

E davvero, a sette secoli di distanza, le sue poesie continuano a nutrire le anime.


Una poesia di Rumi

Io sono la Luna,
dappertutto e in nessun luogo.
Non cercarmi al di fuori;
abito nella tua stessa vita.
Ognuno ti chiama verso di sé;
io ti invito solo dentro te stesso.
La poesia è la barca
e il suo significato è il mare.
Vieni a bordo, subito!
Lascia che io conduca questa barca!

 





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