Cara Signorina,
Questa lettera sarà breve, ma è da molto che non vi ho scritto, mi sembra? e poiché sarò disturbato in questi giorni (aspetto tre amici da Parigi che verranno a passare qualche tempo da me) non voglio rimandare più a lungo il piacere di conversare con voi.
No, disingannatevi! io non derido affatto (e nemmeno nel più profondo della mia coscienza) i vostri sentimenti religiosi. Ogni pietà mi attrae. E la cattolica sopra tutte le altre. Ma non comprendo la natura dei vostri dubbi. Hanno rapporto con il dogma o con voi stessa?
Se comprendo quello che mi scrivete, mi sembra che vi sentiate indegna?
Allora rassicuratevi. Perché peccate per eccesso di umiltà, ciò che è una grande virtù. Indegna! perché? perché, povera cara anima afflitta che siete? rassicuratevi. Il vostro Dio è buono e voi avete abbastanza sofferto perché egli vi ami. Ma se avete dei dubbi sul fondo stesso della religione (cosa che credo, qualunque cosa diciate) perché affliggervi per il mancare a dei doveri che fin d’allora non sono più dei doveri.
Che un cattolico sincero si faccia musulmano, (per un motivo o per un altro) questo è un crimine agli occhi della religione come a quelli della filosofia. Ma se questo cattolico non è un credente, il suo cambiamento di religione non ha più importanza che un cambiamento d’abito. Tutto dipende dal valore che noi diamo alle cose. È noi che facciamo la moralità e la virtù. Il cannibale che mangia il suo simile è tanto innocente quanto il bambino che succhia il suo zucchero d’orzo.
Come potete… Perché dunque disperarvi di non potervi né confessare né comunicare, poiché non potete? poiché dal momento che questo dovere vi è impraticabile, non è più un dovere. – Ma no! L’ammirazione che mi mostrate per Jean Reynaud mi prova che siete in pieno nel corso della critica contemporanea e tuttavia voi tenete, per l’educazione, per l’abitudine e per la vostra natura personale, alle credenze del passato. Se volete uscire di lì, ve lo ripeto, bisogna prendere una parte, affondarvi risolutamente in una o nell’altra. Prendete — siate con Santa Teresa o con Voltaire. Non c’è via di mezzo, qualunque cosa si dica.
L’umanità adesso è esattamente come voi. Il sangue del Medio Evo palpita ancora nelle sue vene ed essa aspira il gran vento dei secoli futuri, che non le porta che delle tempeste.
E tutto questo, perché si vuole una soluzione. Oh! orgoglio umano. Una soluzione! lo scopo, la causa! Ma saremmo Dio se possedessimo la causa. – e a misura che noi andremo, essa si arresterà indefinitamente, perché il nostro orizzonte si allargherà. Più i telescopi saranno perfetti e più le stelle saranno numerose. Noi siamo condannati a rotolare nelle tenebre e nelle lacrime.
Quando guardo una delle piccole stelle della via lattea mi dico che la terra non è più grande di una di quelle scintille. – E io che gravito un minuto su questa scintilla, che sono dunque, che siamo noi? Questo sentimento della mia infermità, del mio nulla mi rassicura. Mi sembra di essere diventato un granello di polvere perduto nello spazio, e tuttavia io faccio parte di questa grandezza illimitata che mi avvolge. Io non ho mai compreso che ciò fosse disperante. Perché si potrebbe benissimo che non ci fosse nulla affatto, dietro il sipario nero. L’infinito, d’altronde, sommerge tutte le nostre concezioni. E dal momento che esso è, perché ci sarebbe uno scopo ad una cosa così relativa come noi?
Immaginate un uomo che con delle bilance di mille cubiti volesse pesare la sabbia del mare. Quando egli avesse riempito i suoi due piatti, traboccherebbero e il suo lavoro non sarebbe più avanzato che all’inizio. Tutte le filosofie sono lì. Esse hanno bello dire «c’è un peso tuttavia, c’è un certo numero che bisogna sapere. Proviamo», si allarga le bilance, la corda si rompe, e sempre così, sempre! Siate dunque più cristiana. E rassegnatevi all’ignoranza.
Voi mi chiedete quali libri leggere. Leggete Montaigne, leggetelo lentamente, posatamente! Esso vi calmerà e non ascoltate le persone che parlano del suo egoismo. Voi lo amerete, vedrete.
Ma non leggete, come leggono i bambini, per divertirvi, né come leggono gli ambiziosi, per istruirsi. No. Leggete per vivere. Fate alla vostra anima un’atmosfera intellettuale che sarà composta dall’emanazione di tutti i grandi spiriti. Studiate a fondo Shakespeare e Goethe. Leggete delle traduzioni degli autori greci e romani, Omero, Petronio, Plauto, Apuleio, ecc., e quando qualche cosa vi annoierà accanitevici sopra. Voi lo comprenderete presto – questo sarà una soddisfazione per voi. Si tratta di lavorare, mi comprendete? Io non amo vedere una così bella natura come la vostra rovinarsi nel dolore e nell’ozio. Allargate il vostro orizzonte e respirerete più liberamente.
Se voi foste un uomo e che aveste vent’anni, vi direi di imbarcarvi per fare il giro del mondo. Ebbene fate il giro del mondo nella vostra camera. Studiate ciò di cui non sospettate: la Terra. Ma io vi raccomando prima di tutto Montaigne. Leggetelo da un capo all’altro e quando avrete finito, ricominciate. I consigli (dei medici, senza dubbio) che vi si danno mi paiono poco intelligenti. Bisogna, al contrario, affaticare il vostro pensiero. Non credete che esso sia usato. Non è una stanchezza che esso ha, ma delle convulsioni. Queste persone, d’altronde, non capiscono nulla dell’anima. Io le conosco, andate!
Io non vi parlo oggi di Angélique, perché non ho né il tempo né lo spazio. Io ve ne farò una critica dettagliata nella mia prossima lettera.
Addio — e contate sempre sulla mia affezione. Io penso molto spesso a voi — ed ho gran desiderio di vedervi. Ciò verrà, speriamolo.
Intanto io vi bacio le mani.
molto cordialmente
tutto vostro
Gve Flaubert
Fonte: https://flaubert.univ-rouen.fr/correspondance/correspondance/6-juin-1857-de-gustave-flaubert-%C3%A0-m-s-leroyer-de-chantepie/?utm_source=chatgpt.com